In 4to (mm. 212x145). Cc. 53, [1]. Segnatura: A-M4 N6. Marca tipografica aldina al titolo e al verso dell'ultima carta. Mezza pelle dell'Ottocento, titolo in oro al dorso (dorso restaurato). Leggero alone all'angolo superiore esterno delle ultime cinque carte, restauro all'angolo superiore esterno della c. 49 (N1) senza danno, leggere fioriture occasioni, nel complesso buona copia marginosa.
PRIMA EDIZIONE. Nella lettera di dedica a Otto Truchsess, vescovo di Augusta, datata Venezia, 10 maggio 1544, Ortensio Lando scrive con lo pseudonimo 'Il Tranquillo': "[...] giunsi in Italia, & finalmente in Piacenza : dove, si come era di mio vecchio costume, visitai la Signora Isabella Sforza, alla quale per infiniti rispetti mi conosceva obbligatissimo: ne credo fusse questa mia visita senza voler divino: conciosia ch'io la ritrovassi tutta occupata in trattar simile argomento. & avendo con molte preghiere ottenuto di leggere così alla sfuggita i suoi divini componimenti, parvemi si dolcemente trattata questa materia, che subito con mio grande rossore feci disegno di ardere quanto ne havessi già circa tal soggetto scritto. [...] Havendo io per tanto giudicato, essere gli scritti suoi di gran lunga alli miei superiori, contentandosi ella che per lo mio mezzo in luce uscissero" (cc. A3r-A4r).
La paradossale affermazione di Lando non può nascondere il fatto che egli fosse in realtà l'autore di Della vera tranquillità dell'anima. Già una fonte contemporanea lo conferma. In una copia (ora alla Bayerische Staatsbibliothek) dell'opera in possesso dell'umanista, orientalista e filologo tedesco Johann Albrecht Widmannstetter si trova una nota che attribuisce l'opera a "Hortensius Tranquillo, che in Napoli fu Hieremia di Landj amico del Saripando" (cfr. C. Fahy, Per la vita di Ortensio Lando, in: "Giornale storico della letteratura italiana", 142, 1965, pp. 246-248).
“In her discussion of Lando's impersonation of Isabella Sforza, Daenens [see below], using a term employed by Gérard Genette, suggests we characterize the Vera tranquillità as an apocryphe consenti (that is, published with permission), with Sforza the garant du texte (textual guarantor): surely the impersonation was so extensive that Isabella must have been a party to it and the text must have had the authority of her assent” (M.K. Ray, Textual Collaboration and Spiritual Partnership in Sixteenth Century Italy: The Case of Ortensio Lando and Lucrezia Gonzaga, in: “Renaissance Quarterly”, 62, 2009, p. 710).
“Lungimirante appare la dedica al vescovo Otto Truchsess, del quale Lando vanterà più volte la liberalità nei propri confronti. Nelle manovre diplomatiche in vista del Concilio, Truchsess svolge il ruolo di grande mediatore, che il dedicatore non dimentica di sottolineare. Durante la sua missione a Cracovia nel 1542, il barone Truchsess era stato ospite di Bona Sforza e Sigismondo, ed aveva invitato il vecchio re a partecipare personalmente al Concilio. Vescovo di una città luterana, era tra gli uomini di Chiesa meglio informati delle ragioni dei protestanti e proprio per la sua riconosciuta autorevolezza il nunzio Varallo voleva fosse designato al Concilio. In qualità di cubicularius godeva la massima fiducia di Paolo III che nello dicembre dello stesso anno [1544] gli dette la porpora cardinalizia. Per la sua familiaritas con il pontefice e il camerlengo, Guido Ascanio Sforza, egli dava all'edizione un indiscusso prestigio. L'autrice, o la presunta autrice, non certo era ignota nei Palazzi Apostolici” (F. Daenens, Le traduzioni ‘Della vera tranquillità dell'animo, 1544: L'irriconoscibile Ortensio Lando, in: “Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance”, LVI/3, 1994, p. 673).
“En 1544, sort de l'imprimerie Manuzio le traité Della vera tranquillità dell'animo. Opera utilissima e nuovamente composta dalla illustrissima Signora la Signora Isabella Sforza. Sur le papier, l'oeuvre est donc attribué à Isabella Sforza mais, à travers la lettre de dédicace à Otto Truchsess von Waldburg, signée par ‘Tranquillo', nous savons que Lando s'occupa d'éditer le traité. Isabella, fille de Giovanni Sforza, Seigneur de Pesaro et épouse de Cipriano del Negro, avait une réputation de femme savante et elle fut souvent louée par les auteurs se son époque, comme Lodovico Domenichi et Anton Francesco Doni [...] La paternité landienne de cette ouvrage [Della vera tranquillità dell'anima] a été acceptée unanimement depuis longtemps et il nous semble pas nécessaire de retracter tous les arguments en faveur de cette hypothèse. Outre les évidentes similitudes stylistiques, il suffit remarquer que deux chapitres du traité ressemblent beaucoup à deux chapitres des Paradossi... Le role d'Isabella dans cette oeuvre, reste néamoins une question sans réponse certaine. Sans aucun doute, Lando avait préalablement convenu cette publication avec elle, mais nous n'avons aucune possibilité de savoir si elle participa activement à sa conception. Par ailleurs, dans notre perspective, axée sur les techniques de promotion, ce qui nous intéresse est surtout la manière par laquelle cette fiction a été mise en scène par l'auteur. De cette initiative l'auteur pouvait tirer plus d'un avantage. Premièrement, il rendit hommage à sa protectrice, en recevant très probablement une bonne compensation de sa part. Cet ouvrage, en effet, renforça remarquablement la reputation d'Isabella comme femme savant. En même temps, en présentant comme l'éditeur de ce traité, il contribua aussi a sa propre renommé. L'hommage à des femmes mécènes à travers l'exaltation de leur érudition et de leur capacités littéraires était un topos qui était en train de se répandre rapidement à une époque ou commencèrent effectivement à émerger des écrivaines. Toutefois, il pourrait avoir une autre raison dans le choix de publier le traité sous le non d'une femme: Lando visait peut-être une nouvelle part du marché du livre, représentée justement par le public féminin, lequel aurait pu être particulièrement bienveillant à l'égard une oeuvre écrite par une autre femme. À ces aspect il faut aussi ajouter que l'autorité d'Isabella sur une oeuvre au contenu religieux aurait protéger l'auteur des accusations d'hérésie et faciliter l'impression du traité” (F. Greco, Autopromotion, paradoxe et réécriture dans l'oeuvre de Ortensio Lando, Diss., Grenoble, 2018, pp. 93-94).
“The treatise was published with the official sanction of a Farnese pope, though it expresses ideas very close to those in the Confessio Augustana: the total corruption of the human nature through the sin of Adam, the vanity of any human effort in the process of salvation, and faith that justifies. In 1544 these arguments on grace and merit were not in conflict with absolute loyalty to the pope, and the hopes of religious conciliation expressed in the dedication and in the text were undoubtedly shared at the highest levels of the Church. The ethical choices do seem more congruent with a Reformational mentality, and indeed after the Council of Trent these were violently challenged by the Church” (F. Daenens, Isabella Sforza: beyond the stereotype, in: “Women in Italian Renaissance Culture and Society”, L.Panizza, ed., Oxford, 2000, p. 49).
Nato a Milano, Ortensio Lando si forma nella sua città natale con Alessandro Minuziano, Celio Rodogino e Bernardino Negro. Proseguì poi gli studi all'Università di Bologna, laureandosi in medicina. Per cinque anni (dal 1527 al 1531) si ritirò in diversi conventi agostiniani (con il nome di Fra Geremia da Milano) di Padova, Genova, Siena, Napoli e Bologna, studiando varie discipline umanistiche, tra cui il greco. In questi anni conobbe le opere di Erasmo e strinse amicizia con diversi studiosi di orientamento evangelico come Giulio Camillo Delminio e Achille Bocchi. Dopo una breve sosta a Roma, decise quindi di lasciare l'Italia e stabilirsi a Lione, dove lavorò come editore nella tipografia di Sébastien Gryphe. Qui incontrò anche Étienne Dolet e pubblicò la sua prima opera Cicero relagatus et Cicero revocatus (1534). Inizia quindi una vita errante e nei dodici anni successivi si trova a Basilea, dove pubblica Erasmi funus (1540), attirandosi le ire della chiesa riformata della città. Visita la Francia e viene accolto alla corte di re Francesco I. Riappare a Lione nel 1543, dove dà alle stampe il suo primo libro italiano e di maggior successo, I Paradossi (1543). Visitò poi la Germania e afferma di aver visto anche Anversa e l'Inghilterra. Ad Augusta fu accolto dal ricco mercante Johann Jakob Fugger. Nel 1545 si trova a Piacenza, dove viene accolto da Lodovico Domenichi e Anton Francesco Doni nell'Accademia degli Ortolani. Segue un decennio di relativa pace in cui la vita di Lando si stabilizza in territorio veneziano. Fu presente all'apertura del Concilio di Trento e trovò un mecenate nel vescovo Cristoforo Madruzzo. A Venezia lavorò per diversi stampatori, soprattutto per Giolito, e incontrò spesso Pietro Aretino, con il quale era già in corrispondenza da diversi anni. Nel 1548 tradusse l'Utopia di Tommaso Moro, scrisse il Commentario delle più notabili cose mostruose d'Italia (1548) e pubblicò le Lettere di molte valorose donne (1548), la prima raccolta di lettere di donne. Anche negli anni successivi fu molto attivo e pubblicò numerose opere, in cui criticava l'erudizione e la cultura tradizionale e mostrava una forte simpatia per il movimento evangelico. Non a caso tutti i suoi scritti furono inseriti prima negli indici veneziani del 1554 e poi in quello romano del 1559 (cfr. S. Seidel Menchi, Chi fu Ortensio Lando?, in: "Rivista Storica Italiana", 106/3, 1994, pp. 501-564; vedi anche S. Adorni Braccesi & S. Ragagli, Ortensio Lando, in: "Dizionario biografico degli Italiani", vol. 63, Roma, 2004, pp. 451-459).
Isabella Sforza era figlia illegittima di Giovanni Sforza (1466-1510), signore di Pesaro, alla cui morte il ducato tornò alla Chiesa e questo ramo della famiglia Sforza si estinse con Isabella. Il padre la riconobbe nel suo testamento (24 luglio 1510), assegnandole una dote di 3000 ducati. Con un breve del 18 agosto 1520, papa Leone X le impose di sposare Cipriano Sernigi, un ricco mercante fiorentino dell'arte della lana, di provata fedeltà medicea. Ne seguì una lunga controversia sulla sua dote e sull'eredità sforzesca. Durante l'assedio imperiale al castello di Milano nel 1526, Isabella fece parte della ristretta cerchia di informatori del campo confederato e si trovò ad affrontare missioni rischiose - come la trasmissione di missive diplomatiche criptate - di cui fu chiamata a rispondere alla presenza di Alfonso d'Avalos, comandante dell'esercito imperiale. Nel 1527 Isabella fu vittima di uno dei sordidi intrighi letterari di Pietro Aretino, che in due sonetti la presentò come redentrice delle sue inclinazioni omosessuali (cfr. A. Luzio, Pietro Aretino nei primi suoi anni a Venezia e la corte dei Gonzaga, Torino, 1888, p. 23; cfr. anche D. Romei, ed., Scritti di Pietro Aretino nel codice Marciano It. 66, Firenze, 1978, pp. 119-122; e Pietro Aretino, Frottole, D. Romei, ed., n. pl., 2019, p. 18). Ai primi di agosto del 1532, durante una lite, il marito fu assassinato a Parma davanti ad Isabella da Ottaviano Lampugnano, suo procuratore per molti anni, che riuscì a fuggire. Fortemente sospettata, Isabella venne arrestata e condotta nel convento di S. Caterina, che avrebbe lasciato solo su cauzione, grazie alla mediazione degli inviati ducali. Protestò la sua innocenza, volle essere interrogata e il caso fu chiuso alla fine del mese. Nel 1544 apparve a Venezia, sotto il suo nome, Della vera tranquillità dell'animo, scritto in collaborazione con Ortensio Lando. Le sue lettere incluse nella raccolta Lettere di molte valorose donne (1548), sempre a cura di Ortensio Lando, contribuirono notevolmente ad accrescere la sua fama di letterata. A partire dal 1550 visse a Roma, dove fu chiamata a comparire davanti al tribunale romano del Sant'Uffizio; la procedura inquisitoria è documentata solo nei Decreta, dove è intitolata "causa Isabella Sforza Pallavicini". Nella congregazione del 25 gennaio 1560, presieduta da Michele Ghislieri (i futuro papa Paolo V), la prima dopo l'elezione di Pio IV, le fu vietato di lasciare la città, ma non si conoscono gli elementi acquisiti dal Sant'Uffizio e l'identità del testimone d'accusa. Il 3 aprile 1560, dopo la lettura del processo, i giudici di fede si pronunciarono per l'assoluzione. Isabella morì un anno dopo (cfr. M. E. Roffi Chinelli, Isabella Sforza e i letterati del suo tempo: per una ricognizione della presenza nella cultura piacentina del Rinascimento, Piacenza, 1992, passim; cfr. anche F. Daenens, Isabella Sforza: beyond the stereotype, in: "Women in Italian Renaissance Culture and Society", L.Panizza, ed., Oxford, 2000, pp. 35-55).
Edit 16, CNCE26949; Adams, S-1044; Universal STC, no. 837258; A. Renouard, Annales de l'imprimerie des Aldes, Paris, 1834, p. 129, nr. 1; P.J. Angerhofer & al., eds., In aedibus Aldi: The Legacy of Aldus Manutius and his Press,Provo, UT, 1995, pp. 78-79, nr. 42.
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