Pauli Cortesii Protonotarii Apostolici in libros de Cardinalatu ad Iulium Secundum Pont. Max. prooemium. Colophon: Symeon Nicolai Nardi Senensis alias Rufus Calchographus imprimebat in Castro Cortesio, Die decimaquinta Novembris M.CCCCCX
Autore: CORTESI, Paolo (1465-1510)
Tipografo: Simone Nardi
Dati tipografici: San Gimignano, 15 November 1510
IL PRIMO LIBRO STAMPATO A SAN GIMIGNANO
In folio (mm. 291x210). Cc. [1], CCXLII [i. e. 224], [17]. In totale 242 carte complessive. Segnatura (semplificata rispetto a quella ideale presentata da Centi-Harris, vedi sotto): a10 A-E8 F8 FF6 G-H8 I24 K-L8 M7 N14 NN8 O4 p2 P8 Q17 q-r6 R18 S-X8. Le carte I21, N11, NN8, R13 e V8 sono bianche. Manca la carta bianca a1. La carta a10 è rilegata ad inizio volume, mentre il resto del fascicolo segnato a è rilegato infine dopo il fascicolo X. Carattere tondo. Colophon alla c. V7v. Le Annotationes (cc. X1-8) e l'indice (cc. a2r-a9r) sono stampati su due colonne, il registrum (c. a9v) su tre. Spazi bianchi per iniziali con lettere guida. Pergamena floscia coeva con titolo manoscritto lungo il dorso (titolo un po' sbiadito, lievi mancanze, dorso leggermente iscurito). Nota di possesso al margine inferiore del titolo non più leggibile neanche con l'ausilio della lampada di Wood. Restauro all'angolo inferiore esterno delle prime dieci carte senza danno al testo, ultima pagina un po' iscurita e fiorita, qualche lieve alone marginale alle ultime carte, nel complesso ottima copia estremamente fresca e genuina.
Rarissima prima edizione. “Il primo posto indiscusso fra le glorie della stampa di San Gimignano, sia in termini di antichità della pubblicazione, sia per quanto riguarda l'importanza storica e culturale dell'opera, spetta all'editio princeps del De cardinalatu di Paolo Cortesi. Le molte storie della stampa che parlano di questo libro atipico indicano il luogo di publicazione, come riferisce il colophon, ‘in Castro Cortesio': ad onor del vero un paese con tal nome non esiste, perché la dicitura designa l'antica residenza della famiglia Cortesi, nella località, sulle colline nella direzione di Poggibonsi, sempre nel territorio comunale di San Gimignano, oggi denominata Monti. Lo stesso colophon dice che l'anno era il 1510 e lo stampatore Simone Nardi, che esercitò il mestiere di tipografo a Siena dal 1502 al 1539. In passato è stata avanzata l'ipotesi che, invece di trasportare caratteri e torchio fino al territorio sanigimignanese con un paio di muli, egli avesse semplicemente impresso il libro a Siena […] Gli annali di Nardi, recentemente editi, rivelano però una vera e propria finestra nell'attività senese del tipografo, perché non risulta alcun libro prodotto con la sua firma in tale città fra il 16 maggio 1509 e la primavera del 1511. Ma l'argomento più convincente a favore di San Gimignano come luogo effettivo della stampa, sotto il controllo diretto dell'autore e della famiglia Cortesi, sta nella struttura curiosa del manufatto tipografico, che manifesta numerosi cambiamenti di intenzione e interferenze redazionali che sarebbero state plausibili soltanto in un lavoro in situ. L'evento che maggiormente sconvolse l'attività dell'impressione del trattato fu la scomparsa dell'autore. Il giorno preciso in cui avvenne l'evento funesto non è noto, perché la notizia relativa venne comunicata dalla pubblicazione stessa, che fu portata a termine dal fratello Lattanzio, aiutato dagli amici Vincenzo Mainardi e Raffaele Maffei detto il Volterrano. Il colophon reca la data 15 novembre 1510, ma non segnò la fine dell'attività tipografica. L'avviso agli studiosi firmato da Lattanzio Cortesi posto alla c. X1r delle Annotationes è datato da San Gimignano il 1° dicembre […] Nessun esemplare del De cardinalatu finora preso in visione corrisponde esattamente, in termini di costruzione fisica, a un qualunque altro esemplare; nessuno di essi poi rispecchia l'intenzione dello stampatore, il quale, attraverso il registro, ci ha lasciato indicazioni accurate sul modo in cui il volume si doveva confezionare” (S. Centi-N. Harris, Per il ‘De cardinalatu' di Paolo Cortesi: la copia ‘ideale', gli esemplari e i messaggi occulti, in: “Gli incunaboli e le cinquecentine della Biblioteca Comunale di San Gimignano”, San Gimignano, 2007, II, pp. 29-31).
Di fatto nessun esemplare del De cardinalatu è uguale all'altro, sia per l'intervento dell'autore che evidentemente rivedeva le bozze in corso di stampa e le faceva correggere, sia per l'inesperienza del tipografo che a quella data aveva per lo più dato alle stampe solo piccole pubblicazioni, sia infine per la morte prematura dell'autore e il subentro di suo fratello come curatore dell'edizione. Sono presenti infatti nel volume diversi foglia cancellantia e fascicoli aggiunti. Inoltre non è del tutto chiara neppure la disposizione del fascicolo preliminare segnato a contenente indice e proemio/dedica, che a volte si trova rilegato in testa, a volte invece in calce al volume, o, come in questo caso, con il proemio in testa e l'indice in fondo.
Per quanto riguarda il fascicolo iniziale π2, per altro non menzionato nel registrum e stampato con caratteri tipografici differenti, che contiene una seconda dedica a papa Giulio II (dopo quella firmata dall'autore a c. a10) di mano di Raffaele Maffei ed una lettera di Vincenzo Mainardi a Lattanzio Cortesi datata 20 dicembre 1510, appare chiaro che questo sia stato stampato in un momento successivo, chiaramente dopo la morte dell'autore, e ciò spiegherebbe il fatto che non compare in diversi esemplari, tra cui il presente. Di questo fascicolo di due carte si conosce anche un'emissione del 1513 contenente una nuova dedica al neo-eletto papa Leone X, apposta in sostituzione della precedente evidentemente in esemplari che, a quella data, non erano ancora stati donati o venduti (cfr. F. Bausi, La dedicatoria a Leone X del “De Cardinalatu” di Paolo Cortesi, in: “Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance”, LVIII, 1996, pp. 643-650).
Rispetto alla collazione dell'esemplare ideale proposta da Harris e Centi (cfr. op. it., p. 35), il presente esemplare si discosta solo per la mancanza del fascicolo π2 e della carta bianca a1. Stesse caratteristiche del nostro esemplare, a parte qualche variazione nella sequenza dei fascicoli, presenta anche la copia appartenuta a Giuseppe Renato Imperiali e venduta da Christie's nel 1997 per US$ 9,200.- come lotto non passibile di restituzione per la diversità di collazione fra un esemplare e l'altro (Catalogue of The Giannalisa Feltrinelli Library. Part One: Incunabula and Other Italian Early Printed Books, 7 October 1997, nr. 31). Altre copie che abbiamo potuto rintracciare sul mercato, ma in molti casi non verificare, sono state offerte da Davis & Orioli (Londra, 1952 circa), C.A. Chiesa (Milano, 1966 circa), Gonnelli (Firenze, 1970 circa) e R. Halwas (Londra, 1995 £ 16.000).
Nel presente esemplare, ancora estremamente genuino nella sua pergamena floscia originale e poco pressato, alla c. F2r, solo per fare un esempio, si intravede con molta chiarezza il testo utilizzato per una parte delle numerose impressioni in bianco presenti nella pubblicazione, che recita “PAULI CORTESII PROTONO/TARII APOSTOLICI” e che Harris e Centi definiscono come una “griffe subliminale” sparsa qua e là nel volume: “il fatto che questo messaggio destinato ai posteri sia stato segnalato per la prima volta dopo quasi cinquecento anni inevitabilmente induce a chiedere quanto fosse visibile per i contemporanei dello scrittore. Occorre però ricordare che la maggior parte degli esemplari visionati non recano la legatura originale, per cui atti ripetuti di martellamento e pressatura durante le fasi di rilegatura hanno ridotto la qualità dell'indentazione nella carta” (cfr. op. cit., pp. 48-49).
“Paolo Cortesi nacque a Roma nel 1465 da Antonio, abbreviatore pontificio di famiglia probabilmente originaria di Pavia successivamente stabilitasi a San Gimignano, e Tita (o Aldobrandina) degli Aldobrandini, di Firenze. Quasi tutti gli studiosi concordano nell'attribuire la nascita del Cortesi al 1465. Il Cortesi ricevette un'accurata educazione nell'ambiente famigliare, sotto la guida del padre e del fratello Alessandro, che era di lui più anziano, nato nel 1460. Egli stesso ricorda con vivacità le visite che compieva in compagnia del fratello maggiore nelle case degli uomini illustri di Roma (De cardinalatu, c. CXIC), così come la forte impressione e il desiderio di emulazione che suscitarono in lui le lezioni di Pomponio Leto (ibid., c. CIV). Frequentò inoltre la casa di Lucio Fazini, detto Fosforo, vescovo di Segni dal 1481, studioso erudito ed elegante, e quella di Bartolomeo Platina, scrittore apostolico e storico […] Favorito senza dubbio dallo ambiente famigliare e dalle amicizie influenti ed altolocate, il Cortesi proseguì nella carriera di Curia iniziata dal padre. Nell'ottobre 1481, per interessamento del fratello Alessandro, che così fu risarcito da Sisto IV per essere stato ingiustamente carcerato, fu nominato ‘scriptor' apostolico in sostituzione del defunto Platina, senza dover versare i 300 scudi d'oro che avrebbe dovuto pagare trattandosi di ufficio venale, e mantenne l'incarico sotto Innocenzo VIII e Alessandro VI […] Il 7 aprile 1498 il Cortesi fu nominato segretario apostolico da Alessandro VI, in sostituzione del rinunciatario G. Alimenti, e tenne questa carica fino all'8 giugno 1503, quando rassegnò le dimissioni ritirandosi a vivere nella sua villa di San Gimignano, costruita sulle rovine di un antico castello e ripristinata con mura e fossati. Sui motivi dell'allontanamento del Cortesi dalla corte pontificia non si può dire niente di sicuro. Sembra che il Cortesi avesse già presentato ad Alessandro VI la sua richiesta di dimissioni, e che il papa per ragioni che ci sfuggono fosse restio ad accettarle. Un suo eventuale dissapore con Cesare Borgia non trova conferma nel fatto che il Cortesi, dopo la sua partenza da Roma e la morte del pontefice (agosto 1503), non vi fece più ritorno ed attese esclusivamente ai propri studi letterari ed eruditi nella quiete di San Gimignano. Così lo presenta Raffaele Maffei nella prefazione del De cardinalatu: un uomo lontano dalle ambizioni curiali, ormai forse irreparabilmente deluse.
La famiglia del Cortesi fu per tradizione amante delle lettere e degli studi, a cominciare dal padre Antonio, e raccolse intorno a sé una scelta schiera di amici e di poeti. La massima fioritura di questo cenacolo è da riportare al 1490-1500. Tra gli ospiti della casa del Cortesi si annoverano scrittori di primo piano, come il poeta Serafino Ciminelli (Serafino Aquilano), il bibliotecario apostolico Giovanni Lorenzi, il greco Manilio Rallo, il poeta Pietro Gravina di Palermo, Leonardo Corvino, vescovo di Montepeloso, il poeta Michele Marullo, il grammatico cremonese Bartolomeo Lampridio, il poeta-improvvisatore toscano Giacomo Corso. Anche se non direttamente il Cortesi fu inoltre in rapporto con alcuni degli esponenti più noti del mondo umanistico: Ermolao Barbaro, Pico della Mirandola, Angelo Poliziano. A quest'ultimo egli inviò una silloge delle proprie lettere, che si riprometteva di pubblicare, per sollecitarne l'opinione in merito. La risposta del Poliziano (Epist., VIII, 16) fu lapidaria: ‘pudet bonas horas male collocasse'. Tuttavia non si trattò di una risposta scortese, ma di un appunto critico, da maestro a discepolo, allo stile del Cortesi, troppo dedito all'imitazione di Cicerone […] Il Cortesi controbatté a sua volta con una lunga lettera (ibid., VIII, 17, s.d., ma anteriore al 1490) con la quale ebbe inizio una delle polemiche più note, e più annose, dell'intero umanesimo italiano […] Lo scambio polemico tra il Poliziano e il Cortesi ebbe una risonanza che superò la loro stessa esistenza: nel primo si riconobbero in germe Erasmo e tutti coloro che propugnavano libertà assoluta nelle scelte artistiche, nel secondo i fautori di un anacronistico, se pur fascinoso, ritorno a una latinità decorosa e solenne, ma prevedibile e irrigidita in stereotipi che probabilmente lo stesso Cicerone avrebbe respinto […]
Il Cortesi fu inoltre in rapporti epistolari, se non di amicizia, con Lorenzo e Piero de' Medici, come mostrano alcune lettere scambiate nel 1491 (De hominibus doctis, 1973, p. IX). L'attività letteraria del Cortesi fu varia e importante. Egli fece inizialmente qualche concessione ad opere di intrattenimento e di svago […] Negli anni tra il 1490 e 1491 il Cortesi attese a scrivere, a imitazione del Brutus ciceroniano, un dialogo De hominibus doctis che dedicò a Lorenzo de' Medici, e che con il De poetis di Lilio Giraldi è uno dei primi e maggiori documenti di storiografia letteraria umanistica. Tale opera, rimasta a lungo inedita, ma conosciuta in codici del sec. XVIII, fu pubblicata per la prima volta a Firenze da Bernardo Paperini nel 1729 […]
Negli ultimi anni del suo soggiorno romano il Cortesi attese ad alcune opere che rielaborò e portò a termine nella quiete di Castel Cortesiano, [tra queste] il De cardinalatu, dedicandolo a Giulio II. Lo incarico della stampa fu affidato dal Cortesi al tipografo Simeone Nardi di Siena, che a questo scopo si trasferì nel 1510 a Castel Cortesiano. Per l'improvvisa morte dell'autore l'edizione, che reca i segni di una composizione conclusa febbrilmente, fu terminata da Raffaele Maffei, richiestone dal fratello del Cortesi, Lattanzio, e porta tre prefazioni: quella del Cortesi, la seconda del Maffei, l'ultima del monaco Severo; si divide in tre libri per un totale di trentaquattro capitoli. Sulla [scelta di redigere quest'opera] potrebbe aver influito il suggerimento del cardinale Ascanio Sforza, e una speranza non troppo infondata di ottenere più facilmente la dignità cardinalizia, se avesse raccolto le norme dei comportamenti e dei doveri del perfetto principe della Chiesa […]
Nel primo libro, ‘ethicus et contemplativus', il Cortesi delinea la peculiarità della funzione cardinalizia, ed enumera le virtù e le conoscenze necessarie all'espletamento della stessa. Nel libro II ‘oeconomicus', il galateo che il cardinale deve seguire nei rapporti della vita privata e di quella pubblica viene esemplificato con citazioni e aneddoti. Il libro III ‘politicus' è una trattazione sistematica dei doveri e delle prerogative della carica, e pone una serie di problemi e risoluzioni pratiche, che il cardinale deve affrontare con successo negli atti ufficiali, ordinari (concistori, conclavi) e straordinari (eresie, scismi).
Il De cardinalatu ebbe favorevole accoglienza negli ambienti ecclesiastici elevati, a cui forniva un prezioso codice di comportamento; senza dubbio influì su Alessandro Farnese, che in esso viene spesso nominato. Che nell'opera sia da cogliere un sintomo dell'aspirazione tipica delle cerchie umanistiche romane e fiorentine di pervenire a un beneficio ecclesiastico, è deduzione non dimostrabile, ma certo acuta. L'opera non dà mai l'impressione di sollevarsi all'altezza aristocratica, sociale e intellettuale, del suo corrispondente laico, il Cortegiano di Baldassar Castiglione. Ma nel complesso si presenta come lavoro lungamente meditato, equilibrato nelle formulazioni, prudente nelle conclusioni: l'abito del principe della Chiesa corrisponde a un ideale di compostezza classica e curiale, rilevata dalla veste ciceroniana dello stile e dei concetti e continuamente confermata e ravvivata dall'inserzione di narrazioni in funzione paradigmatica.
Il Cortesi morì prima del 15 novembre 1510, senza aver potuto ottenere la dignità di cardinale a cui egli segretamente aspirava, lasciando suo erede il fratello Lattanzio” (R. Ricciardi, Cortesi, Paolo, in: “Dizionario Biografico degli Italiani”, Roma, 1983, vol. 29, s.v.).
Nella sua trattazione sul corretto stile di vita di un cardinale (Libro II, Capitolo 2, De Domo Cardinalis), Cortesi descrive il palazzo cardinalizio ideale, la sua ubicazione e la distribuzione degli ambienti, con riferimento a specifici palazzi romani dell'epoca e ai committenti che li avevano commissionati. Attingendo a Vitruvio e a fonti moderne come Leon Battista Alberti e Flavio Biondo, Cortesi fornisce anche una breve storia degli stili architettonici. La pittura viene discussa come forma di decorazione architettonica e vengono citati Filippino Lippi, Signorelli, Mantegna, Perugino e Leonardo. Leonardo è menzionato anche per la gigantesca statua equestre che realizzò a Milano (c. Iv).
“Cortesi's interest for art historians lies partly in his ideas but perhaps even more in the easy authority with which he represents his milieu and projects its intellectual style. He tells us about the role of visual arts in culture. He sheds light on the Renaissance interpretation of Vitruvius and Alberti and, although Cortesi was neither an architect nor an art-theoretician, he sometimes articulated ideas about architecture and painting that were only just beginning to find expression in actual works of art” (K. Weil Garris-J.F. D'Arnico, The Renaissance cardinal's ideal Palace: a chapter from Cortese's De cardinalatu, in: “Memoirs of the American Academy in Rome”, XXXV, Studies in Italian Art History, I, Roma, 1980, p. 63; vedi anche M.G. Aurigemma, Qualis esse debeat domus cardinalis: il tipo della residenza privata cardinalizia nella cultura antiquaria romana del secondo ‘400, in: “Piranesi e la cultura antiquaria”, a cura di A. Lo Bianco, Roma, 1985, pp. 53-68).
Il capitolo contiene anche passaggi sulla biblioteca ideale, il suo contenuto, l'arredamento e la sua decorazione (cfr. G. Curcio, Per una biblioteca ideale: note per la teoria e l'uso, in: “Scrittura Biblioteche e Stampa a Roma nel Quattrocento”, a cura di C. Bianca, Città del Vaticano, 1990, pp. 85-101).
L'opera contiene anche una sezione sulla musica, De vitandis passionibus deque musica adhibenda post epulas (“Come evitare le passioni e godere della musica dopo cena”, libro II, capitolo 7), che enfatizza il potere della musica di distrarre la mente dalle passioni e di rilassarla, descrive numerosi strumenti musicali (organo, clavicordo, liuto, lira spagnola), cita singoli compositori e musicisti (Josquin come eccezionale compositore di messe polifoniche, Isaac e Obrecht nel genere del mottetto, Serafino Aquilano per la musica profana e il virtuoso della tastiera Isaac Argyropoulos di Milano) e fornisce infine un quadro generale di riferimento per il gusto musicale dell'epoca (cfr. N. Pirotta, Musical and cultural tendencies in 15th-century Italy, in: “Journal of the American Musicological Society”, 19, 1966, pp. 142-161).
Edit 16, CNCE13583; Index Aureliensis, 145.448; Adams, C-2710; BMSTC Italian, p. 200; G. Fumagalli, Lexicon typographicum, Firenze, 1905, pp. 71-72; F.J. Norton, Italian Printers 1501-1520, London, 1958, p. 107; N. Pallecchi, Una tipografia a Siena nel XVI secolo. Bibliografia delle edizioni stampata da Simone di Niccolò Nardi (1502-1539), in: “Bullettino senese di storia patria”, CIX, 2002 (ma 2004), pp. 205-205, nr. 14; E. Guerra, Il ‘De cardinalatu' di Paolo Cortesi, in: “La formazione delle élites in Europa dal Rinascimento alla Restaurazione”, a cura di A. Cagnolati, Roma, 2012, pp. 85-98; K. Weil Garris-J.F. D'Arnico, Op. cit., pp. 45-123; J.K. Nelson, Renaissance Perspectives on Botticelli: Paolo Cortesi, Giovanni Aurelio Augurelli, Francesco Sansovino, and Leonardo da Vinci, in: “Encountering the Renaissance: Celebrating Gary M. Radke and 50 Years of the Syracuse University Graduate Program in Renaissance Art”, a cura di M. Bourne & V. Coonin, Ramsey (NJ), 2016, pp. 103-112; N. de Raedt, Magnificence, Dignity, and the Sociopolitical Function of Architectural Ornament: Cortesi's Discussion of the Cardinal's Architectural Patronage, in: “Renaissance Quarterly”, vol. 76, nr. 1, primavera 2023, pp. 1-38.
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