Le Rime del Petrarca brevemente sposte per Lodovico Castelvetro

Autore: PETRARCA, Francesco (1304-1374)-CASTELVETRO, Ludovico (1505-1571)

Tipografo: [Peter Perna] ad istanza di Pietro de Sedabonis

Dati tipografici: Basel, 1582


Two parts in one volume 4to (mm. 212x165). [16], 447, [1 blank]; 378 [recte 396], [2] pp. Collation: )(-)( )(4 A-Z4 Aa-Zz4 AA-KK4; aa-zz4 aaa-zzz4 Aaa-Ccc4 Ddd2. Printer's device on title page. Decorative woodcut initials. 18th-century vellum over boards, lettering piece on spine, sprinkled edges (worn and rubbed). Later manuscript notes and shelf marks on the front flyleaf and title page. Small hole to the lower margin of the title page and following leaf due to the corrosion of the inked note, worm track in the quires Pp-Vv marginally affecting the text, other worm track to the upper margin of the final leaves not affecting the text, uniformly browned.

 

First edition of Petrarch's Canzoniere with the extensive and important commentary by Lodovico Castelvetro.

Le rime del Petrarca brevemente sposte portano la data del 18 ott. 1545; anch'esse però furono stampate postume, a Basilea nel 1582. Il Raimondi afferma che molte annotazioni presenti nella stampa di Basilea furono aggiunte al testo in epoca successiva al ‘45. La tradizione dei commentari petrarcheschi, in questa prima metà del Cinquecento, permaneva ricca e vivace: uno dei commentatori cronologicamente più contigui al C. è B. Daniello (1541) che ancora, con forza, ricerca nel Petrarca il modello di un mondo sentimentale ed intellettuale, organizzato in un equilibrio e un ordine perfettamente rispondenti a quelli postulati dal classicismo. La opera di C. è dunque in qualche modo dirompente: ridotto Petrarca e la sua poesia ad universo letterario altamente formalizzato ma pur sempre derivante da procedimenti letterari definibili dal critico, non rimane alcuno spazio per una interpretazione neoplatonica del Canzoniere, che vi delinei un itinerario d'amore, alla conquista del sublime (degli oggetti e dei segni che li esprimono). Il C. non rivendica né lo status del filosofo né del teosofo, ma del filologo, anzi del grammatico. Con minime aperture, nella parte iniziale dell'Esposizione, alla biografia dell'autore secondo i dati rinvenibili nei sonetti, l'ottica razionalistica del C. ricerca soltanto le strutture semantiche del testo per confrontarle con l'impalcatura lessicale e grammaticale, verificarne la pertinenza e la coesività. L'acribia critica ed intellettuale è totalmente devoluta ad una scienza letteraria, capace di definire i procedimenti testuali e la loro razionalità. Ma ad una modernità del C., in senso scientista […], occorre porre limiti precisi. L'analisi, ripetiamo, rigorosamente testuale, che il C. compie di Petrarca, come d'altronde di Dante e di altri, è tutta al livello di contenuto: gli stessi rilevamenti grammaticali che pure il letterato modenese compie con assiduità o sono al livello di critica di improprietà lessicali oppure di rinvenimento di stilemi sintattici tradizionali di cui egli mette in dubbio l'appropriatezza del contesto poetico. Gli sfugge dunque tutta la dimensione metalinguistica del testo, non distingue tra denotazione e connotazione riconducendo la seconda alla prima, ed infine appiattisce il gioco metaforico di certi versi (appunto ignorandone il livello connotativo) ridotto spesso ad un meccanico allegorismo. È chiaro come da un simile smontaggio il Canzoniere, testo quanto mai legato alle qualità metalinguistiche, ne esca a pezzi: i giudizi sui singoli sonetti, e soprattutto sui Trionfi, sono per lo più negativi: una pervicace volontà di ridimensionamento conduce gli oggetti, le situazioni narrate ad una sospirosa e un po' banale vicenda sentimentale. La canzone della Vergine, a proposito della quale il Dolce, nel proprio Commentario, diceva che Petrarca vi appariva non meno divoto religioso che buon poeta per il C. diventa un tentativo di nobilitazione dell'amor profano, incerto nell'intenzione e maldestro nel risultato, tecnicamente tutto sbagliato. Sulla funzione storica dell'Esposizione del C. dice già abbastanza questa diversificazione con i commenti precedenti, di cui quelli di Dolce e di Daniello sono rilevanti esempi: tra crisi del petrarchismo (Baldacci) o scrupoli di filologo (Raimondi), il C. sfronda la letteratura di tutte le responsabilità gnoseologiche attribuitele: è su questa linea la teorizzazione, nel commento alla Poetica, del rinvenimento del fine della poesia non nella verità, ma nel diletto che essa apporta attraverso il discorso ornato” (V. Marchetti & G. Patrizi, Castelvetro, Ludovico, in: “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 22, 1979, s.v.).

Lodovico Castelvetro, a native of Modena, expressed an early passion for the study of humanistic letters. He pursued a course of study at the Universities of Bologna, Ferrara, Padua, and Siena. Bowing to his father's wishes, Castelvetro earned a doctorate of law at Siena before moving to Rome, where his family hoped that his maternal uncle, Giovanni Maria della Porta, would be able to use his political connections to advance his nephew's career. Finding life in Rome unbearable, around the time of its sack in 1527 by the imperial forces of Charles V, Castelvetro returned to Modena, where he found intellectual satisfaction in the company of the humanists allied with Giovanni Grilenzono's circle of friends. Castelvetro and Grilenzono studied ancient languages while also practicing vernacular languages. Under Castelvetro's leadership, humanist scholarship flourished in Modena, with Castelvetro's contem­poraries referring to him as ‘another Socrates'. Castelvetro's association with the allegedly heretical Academy of Modena culminated in what may have been an unfounded accusation to the Sacred Inquisition of Rome. Castelvetro found himself in the position of having to travel to Rome in 1560 to refute the accusation. Threatened with torture, Castelvetro fled Italy, was excommunicated, and spent the rest of his life in exile. After leaving Rome, Castelvetro found temporary refuge in Ferrara, Chiavenna, Lyons, Geneva, and, finally, Vienna, where Emperor Maximilian II's patronage provided the opportunity for Castelvetro to publish his most significant literary contribution: his commentary on Aristotle's Poetics (1570). In his dedicatory epistle to Emperor Maximilian II, Castelvetro avowed his intent to complete Aristotle's unpolished treatise in order to prescribe rules for writing dramas. In it he also emphasized realism in drama, clarified the distinction between rhetoric and poetry, and defended poetry as a means of pleasure alone -as opposed to the earlier opinion that poetry should instruct as well as delight. Another critical notion that Castelvetro took issue with was the Platonic concept that poets are possessed with a divine sort of madness. Castelvetro asserted that this was a myth perpetuated by the ignorant masses and by poets themselves. Additional commentaries on Petrarch's Rime, published in 1582, and on the first twenty-nine cantos of Dante's Inferno, among other textual corrections and considerations of the development of the Italian language, comprise the remainder of Castelvetro's critical endeavors (cf. M. Firpo-G. Mongini, eds., Ludovico Castelvetro. Letterati e grammatici nella crisi religiosa del Cinquecento, Florence, 2008; see also D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Florence, 1939, pp. 553-556).

 

Adams, P-834; Gamba, 727; L. Perini, La vita e i tempi di Pietro Perna, p. 499, no. 375; Edit 16, CNCE33549.


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